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Namor, Talokan e il canto delle Sirene

Bisogna ammettere che una delle scene più suggestive del film “Black Panther: Wakanda Forever” è certamente quella dell’introduzione del popolo di Talokan e dell’inquietante canto da loro intonato.

Gli abitanti del mare sono infatti dotati della stessa ammaliante abilità canora che il mito attribuisce alle Sirene, capace di far smarrire per sempre i marinai.

Ma in che cosa consisteva davvero il canto di questi esseri mitici che hanno ispirato la Marvel? Ebbene, già gli antichi se lo chiedevano, non a caso l’Imperatore Tiberio (impero 14-37 d.C.) era solito domandarlo per mettere in difficoltà i suoi ospiti grammatici (Svetonio, Tib. LXX).

La domanda, come vedremo, è di difficile soluzione, ma cercheremo comunque insieme di scoprire cosa cantassero davvero le Sirene e come dovessero suonare le loro melodie.

Perciò, tuffiamoci insieme a scoprirlo!

Le Sirene nel mito

Di Sconosciuto – Jastrow (2006), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1512930

Su chi siano le Sirene e come si sia evoluta la loro figura mitologica, già la nostra Giulia ha avuto modo di raccontarvelo profusamente in questo interessantissimo articolo, che vi consiglio di leggere in modo da avere una panoramica più ampia sull’argomento.

Per non stare a ripeterci, qui ci limiteremo a parlare delle Sirene della mitologia greco-romana, gli esseri marini metà donne e metà uccello, le cui caratteristiche ittiomorfe comparvero solo dalla fine del III sec. d.C. in poi.

Secondo il mito, esse erano figlie del fiume Acheloo e della Musa della Danza Tersicore, dai quali derivano rispettivamente la loro natura acquatica e quella canora. Secondo altre versioni più rare del mito, come quella riportata da Esiodo, loro madre sarebbe Sterope, una delle Pleiadi, mentre secondo Sofocle loro padre era invece l’essere marino primordiale Forco.

In origine le Sirene erano compagne di Persefone, dea della Primavera e futura regina dell’Oltretomba, ma non essendosi opposte al rapimento della fanciulla da parte di Ade, vennero punite dalla madre di lei, Demetra, e tramutate in mezzi uccelli.

La natura delle Sirene

Data questa loro doppia natura, le Sirene sono esseri liminari, a cavallo quindi tra due mondi, compresi quello della vita e quello della morte. Non a caso venivano anche utilizzate come figure apotropaiche, un po’ come la testa di Medusa, e le si ritrova quindi su troni micenei, così come su acroteri greci.

L’etimologia stessa del loro nome, che si basa su radici indoeuropee, rimanda al concetto di “canto” e di “legare” e, inoltre, di alcune di loro si conoscono persino i nomi propri ed erano Parthenope cioè “la virginale”, Leucosia “quella che ha candide membra” e Ligeia o Ligea “la docile” o “dalla voce melodiosa”.

Gli incontri con le Sirene

Secondo il mito, le Sirene vivevano nell’Arcipelago de Li Galli, di fronte a Positano, tanto che le isole erano denominate Seirenussai, le Sirenuse. Insomma, precise sulla rotta di quei marinai che volevano raggiungere il centro e il nord Italia.

Il fato dei naviganti che si trovavano a passare di lì era segnato, perché le cosiddette Muse del Mare li ammaliavano con il loro canto, attirandoli a sé per poi divorarli.

Riuscire a superare queste potenti creature era una vera e propria impresa, non a caso diversi eroi si ritrovano in questa situazione, che, in un modo o nell’altro, riuscirono però a superare.

Uno di essi è Enea che, dovendo raggiungere il Lazio per gettare i semi della futura Roma, si vede costretto a passare dall’Arcipelago delle Sirene. Tuttavia il pio figlio di Afrodite è raccomandato e riesce a passare indenne le isole perché il vento copre il canto ammaliatore e non lo fa giungere fino alle sue orecchie.

Poi ci sono gli Argonauti che, nel viaggio di andata e ritorno dalla Colchide per conquistare il Vello d’Oro, si girano un po’ tutto il Mediterraneo incrociando, strada facendo, anche le Sirene.

La storia di Giasone e dei suoi arditi compagni sarebbe terminata miseramente lì, se non fosse stato che tra loro c’era nientemeno che il musico più famoso di sempre, il trace Orfeo.

Questi, conscio del pericolo, contrappose alla voce irretente delle Sirene il suo sublime canto, riuscendo a surclassarlo senza sforzo e permettendo così ai compagni di mettersi in salvo.

La questione sul perché e sul come il canto di Orfeo abbia la forza di superare quello delle Sirene è molto lunga e complessa e pertanto rimandiamo alle fonti nel caso voleste cominciare ad approfondirla.

Ulisse e le Sirene

Tuttavia l’incontro con le Sirene più famoso di tutti è ovviamente quello di Ulisse.

Nell’Odissea le Sirene compaiono nel XII canto e poi nominate en passant anche nel canto XXIII, quando Ulisse fa il resoconto del suo viaggio.

Nel canto XII, Circe mette in guardia Ulisse dai vari ostacoli che incontrerà lungo il viaggio, primo fra tutti appunto quello delle Sirene, e sarà sempre lei a suggerire all’eroe la scappatoia per poterle ascoltare.

Una volta giunto lì, come sappiamo, l’uomo dal multiforme ingegno è l’unico a riuscire ad udire il vero canto delle Sirene e sopravvivere, poiché, a differenza dei suoi compagni che si erano tappati le orecchie con della cera, lui si fa legare all’albero maestro appositamente per poterlo ascoltare senza correre rischi.

Questo il canto che udì:

“Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei,

ferma la nave, la nostra voce a sentire.

Nessuno mai si allontana da qui con la sua nave nera,

se prima non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce;

poi pieno di gioia riparte, e conoscendo più cose.

Noi tutto sappiamo, quanto nell’ampia terra di Troia

Argivi e Teucri patirono per volere dei numi;

tutto sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice.”

Secondo alcune versioni del mito, le Sirene non presero bene questo smacco e questa mancata preda e, come ci racconta Giulia nel suo articolo, si suicidarono.

Di Siren Painter (eponymous vase) – Jastrow (2006), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1517690

Il contenuto del canto

Come si può vedere il canto delle Sirene è sì seducente, ma non nell’accezione meramente fisica del termine, come talvolta tende erroneamente a immaginare la vulgata.

Le creature marine promettono alla loro vittima, nel caso specifico a Ulisse, che se si fermerà ad ascoltarle andrà via “conoscendo più cose”. Cos’altro infatti avrebbe potuto indurre in tentazione la volpe di Itaca se non il sapere?

Quella che però garantiscono le Sirene non è la conoscenza del futuro, che è prerogativa delle Muse, ma quella del passato e del presente, ricordando avvenimenti che Ulisse ha vissuto in prima persona e spesso da protagonista, quindi perché dovrebbe interessare all’eroe? Perché quella che gli offrono è una prospettiva degli avvenimenti già consegnata all’epica e di come sarà tramandata ai posteri. In quella versione Ulisse, in sostanza, è già entrato nel mito.

La modulazione del canto

Adesso arriviamo alla parte un po’ più tecnica e forse più ostica, ma certamente è quella che più ci interessa.

Il canto delle Sirene viene infatti inizialmente indicato come phthongos, che indica un suono acuto e inarticolato, penetrante e incisivo, generato da un’unica emissione di voce, che Platone accosta al frinire delle cicale o al ronzio delle api. Solo quando Ulisse si avvicina, comincia a distinguere le parole e si trasforma in aiode, un canto vero e proprio, connotato dall’aggettivo lìgyrá, che si applica sia al canto melodioso delle Muse che al sibilare del vento.

Inoltre Omero utilizza il verbo thelghein, “incantare”, per descrivere l’effetto del canto. Si tratta di «un termine tecnico “che riflette la concezione magica che i Greci avevano della parola cantata”» (Coppola 2016), accostabile alla fascinazione amorosa. Questo termine contiene quindi in sé un aspetto divino così come di terrificante fragore.

Il canto dei Talokiani

Sulla base di quanto detto, il canto ipnotico del popolo di Talokan è stato reso bene in “Wakanda Forever”?

A mio parere sì. Dal silenzio delle acque si alza una nota costante e monotona, che aumenta di intensità in un crescendo cui si aggiunge poi un’intonazione in parte più umana, in un suono ben cadenzato che può essere considerata una buona rappresentazione del termine phthongos.

Inoltre, niente vieta di immaginare che coloro che vengono soggiogati dal canto dei talokiani poi non sentano anche sussurrate al loro orecchio parole talmente ammalianti da irretirli e spingerli quindi a trovare la loro morte in mare, proprio come facevano le Sirene con i naviganti.

Di Ingcelsi – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=112632382

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Come sempre, ricordiamo che l’articolo non è esaustivo del vasto argomento, ma ne è soltanto un’introduzione.

Fonti:

  • Omero, Odissea, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1968
  • E. Cantarella, La dolcezza delle lacrime. Il mito di Orfeo, Milano-Udine 2015
  • G. Coppola, Le Sirene di Cicerone: uso e abuso del mito, 2020, Mosaico, Rivista online del Liceo ‘F. Quercia’ – Marcianise (CE) ISSN 2384-9738
  • G. Coppola, Le Sirene, il canto, la seduzione, l’identità – Un’esperienza didattica, Mosaico III 2016, ISSN 2384-9738
  • G. Pucci, Le Sirene tra canto e silenzio: da Omero a John Cage, “ClassicoContemporaneo” a. 0 (2014), 80-97
  • https://www.anteremedizioni.it/files/file/opera_prima/OP_BrunoMoroncini.pdf
  • Santarelli, C. (2013). Orfeo, Ulisse e le Sirene: storia di una sconfitta di genere. Gli Spazi Della Musica, 2(1). Recuperato da https://www.ojs.unito.it/index.php/spazidellamusica/article/view/402
  • Valenti, Veronica Ariel. “IL CANTO DELLE SIRENE E IL CANTO DI NEŠA. SEMANTICA DELL’UNIRE E SFERA VERBALE NEL MONDO INDOEUROPEO.” Studi Classici e Orientali, vol. 64, 2018, pp. 1–30. JSTOR, https://www.jstor.org/stable/26495457. Accessed 20 Apr. 2023.
  • L. Capo, Le Sirene ammaliatrici e il loro canto nella letteratura storica, filosofica ed archeologica, Salternum. Semestrale di informazione storica, culturale e archeologica (2021). Vol. 46-47, pp. 23-33